Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge nasce dalla consapevolezza che il cammino di adeguamento della norma ordinaria al dettato costituzionale non si debba mai arrestare. Esso è infatti l'indice più rappresentativo della evoluzione culturale e democratica che il nostro Paese ha affrontato e affronta, anche per rimanere all'altezza della sua storia, nell'ormai prossimo momento di definitiva integrazione culturale europea.
      Questo appuntamento con la realtà europea deve trovarci pronti e affinché si possano effettivamente affrontare i nuovi ambiti della politica, che sempre più non sarà solo nazionale, ma dovrà essere raccordata con la dimensione europea, la nostra società civile deve trovare un rapporto, con i propri rappresentanti politici, il più possibile stretto e sentito, deve sentirsi effettivamente rappresentata, pena la sempre maggiore difficoltà di poter comprendere scelte politiche, che si dovranno confrontare con delle realtà nazionali.
      Ecco dunque la necessità di rendere realmente rappresentativo il quadro d'insieme delle cariche elettive, con l'effettiva realtà imprenditoriale, professionale e umana del nostro Paese, che vede presenti un numero sempre maggiore di donne.
      Ecco come può diventare concreta la modifica della norma costituzionale, lì dove all'articolo 51 vengono dettati i criteri per regolare la partecipazione alla vita democratica. È, infatti, legge del nostro Stato oggi, e legge di rango costituzionale, la previsione che impone alla Repubblica di «promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Essa costituisce il precetto di chiusura del richiamato articolo 51, che così recita: «Tutti i cittadini dell'uno dell'altro sesso possono accedere agli uffici

 

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pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge».
      Il provvedimento di integrazione e di modifica del dettato costituzionale si è reso necessario per poter dare concretezza alla, fino ad oggi solo ideale, previsione delle «condizioni di eguaglianza» all'accesso alle cariche elettive, e ciò perché la problematica di una effettiva partecipazione femminile alle cariche elettive, problematica sentita già da tempo, aveva trovato una sua prima, inefficace, soluzione con le leggi che avevano affrontato la medesima questione nell'anno 1993. Tutte le norme, infatti, erano cadute sotto la censura della Corte costituzionale che, con le pronunce del giugno 1995, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, 1a Serie Speciale, n. 39 del 20 settembre 1995, avevano deciso per la «illegittimità costituzionale» delle norme ordinarie di modifica delle leggi elettorali, che nel tentativo di rendere effettiva la pari opportunità dell'accesso di uomini e donne alle cariche elettive, avevano stabilito un precetto con «azione positiva» e non con mero carattere programmatico e di indirizzo.
      Tutto questo accadeva, ovviamente, prima della modifica del dettato costituzionale sopra richiamata.
      La modifica dell'articolo 51, con la previsione per la Repubblica di «promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini» nell'accedere alle cariche elettive, muta il quadro di riferimento delle pronunce di illegittimità costituzionale richiamate. È stato, infatti, autorevolmente considerato che la modifica-integrazione della Costituzione è stata voluta, votata e approvata dal nostro Parlamento al fine di dare copertura costituzionale a tutti quei provvedimenti, legislativi e amministrativi, con i quali si vogliono garantire forme di paritaria partecipazione tra donne e uomini, in particolare alla designazione di cariche elettive. Dunque il mutato precetto normativo di livello costituzionale, anche a parere della dottrina costituzionalista, consentirebbe di dare «copertura di rango costituzionale» a tutte quelle norme elettorali nelle quali venissero garantite, in modo eguale ad entrambi i sessi, condizioni di pari accesso alle cariche elettive, con la previsione quindi di una «identicità ai blocchi di partenza».
      La modifica introdotta, sempre a parere della dottrina più autorevole, consentirebbe di assimilare le norme, come quella in esame, non alle previsioni di «azioni positive» vietate, in quanto attribuenti vantaggi speciali ad una categoria (le donne), ma a norme con funzione «antidiscriminatoria», miranti cioè a regolare in modo eguale le posizioni di uomini e donne.
      Quindi, in buona sostanza, precetti diretti a promuovere l'eguaglianza di chance, e non misure che abbiano a garantire direttamente il risultato, creando una incompatibilità costituzionale «in tema di diritto all'elettorato passivo, rigorosamente garantito in eguale misura a tutti i cittadini in quanto tali» che è la motivazione di tutte le censure di incostituzionalità mosse alle leggi del 1993.
      Il significato più profondo e le motivazioni più autentiche della proposta di legge risiedono, dunque, proprio nella volontà di rendere più effettivi e pregnanti i princìpi di eguaglianza di partecipazione e di efficacia del nostro assetto istituzionale; e sono anche quelli di dare una nuova legittimazione ai poteri democratici, a partire dalla loro effettiva capacità di rappresentanza sociale e politica, fino a giungere alla ridefinizione del sistema delle garanzie, in relazione alla nuova democrazia maggioritaria. L'efficienza e l'efficacia delle istituzioni non si misurano solo sul piano organizzativo o funzionale, ma sulla loro capacità di tutelare l'interesse generale, il bene comune, la cosa pubblica.
      La sfida, per gli uomini e le donne della nostra nazione, è quella di inserirsi nei processi politici e decisionali, soprattutto in una fase di transizione e di cambiamento come l'attuale; e la via maestra non può non considerarsi quella di inserire nel «mainstream», che è il momento nel quale nel processo politico coesistono volontà e responsabilità personali,
 

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uomini e donne effettivamente rappresentativi della realtà politica, sociale e imprenditoriale.
      Dunque la proposta di legge che qui si presenta interviene in ordine alle elezioni del Parlamento europeo, della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, dei consigli regionali, comunali e provinciali.
      Per quanto riguarda la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, è previsto che, nelle liste di candidati ogni sesso non sia rappresentato in misura superiore ai due terzi (articoli 1 e 2).
      Analoga disposizione è prevista per le liste dei candidati per le elezioni regionali (articolo 4). Per le elezioni dei membri del Parlamento europeo, per le quali la legge 8 aprile 2004, n. 90, ha già disposto in senso analogo, ma solo per le prime due elezioni successive alla sua entrata in vigore, si interviene (articolo 3) appunto eliminando questo limite temporale, e trasformando quindi in norme a regime le disposizioni dell'articolo 3 della legge citata, ora confluite nel codice delle pari opportunità tra uomo e donna (si veda l'articolo 56 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198).

      Infine, per garantire l'effettività delle suddette disposizioni, è comminata la sanzione del mancato rimborso elettorale, ove le liste contravvengano alle disposizioni citate.
      Sia per le elezioni provinciali che per quelle comunali è disposto che il numero dei candidati di uno stesso sesso non possa essere superiore ai due terzi del totale dei candidati. I partiti e i movimenti politici che non ottemperano alla disposizione in oggetto sono tenuti al pagamento di una sanzione pecuniaria calcolata in proporzione ai voti conseguiti per l'attribuzione dei seggi.
 

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